
“Il dibattito pubblico che ha attraversato il Paese (e in esso il mondo della scuola) in questi anni è passato dalla polarità laici-cattolici vissuta come un’eredità risorgimentale a quelle fra posizioni ideologiche legate alla Guerra fredda a quelle fra diverse scuole pedagogiche. Paradossalmente nessuno o quasi ha posto il tema della riforma della Riforma Gentile se non in termini di superamento e quasi miglioramento, mai di cancellazione.
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Oggi, noi pensiamo, l’esigenza sarebbe quella di far scivolare un po’ più verso lo sfondo queste polarità, che hanno dignità ma non possono pensare di conquistare impossibili egemonie, e guardare alla relazione che vorremmo definire speciale fra la struttura e le finalità del sistema educativo e le esigenze del paese in quanto parte di una società (quella europea) della conoscenza competitiva e forte. Questa relazione non si instaurerà mai se l’organizzazione del lavoro nella scuola continuerà a essere subordinata ai vincoli derivanti da classi di abilitazione, orari cattedra, circolari e burocratismi vari. Flessibilità, individualizzazione dell’insegnamento e autonomia delle scuole riducono forse il potere di chi oggi lo detiene ma sono, secondo noi, la strada obbligata da percorrere”.
Così gli autori, entrambi in prima fila nelle esperienze riformatrici del periodo 1996-2001, concludono il loro saggio, che per duecentosessantaquattro pagine fornisce ampie e documentate argomentazioni alle loro affermazioni conclusive.

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